La sedia a dondolo

“Caro babbo, ti voglio tanto bene”. Soltanto questa frase aveva imparato a scrivere in trent’anni di vita. Il suo corpo era una malformazione indicibile e a malapena le malandate corde vocali riuscivano a fargli emettere una specie di rantolo, afono e grottesco. Per questo la mamma gli aveva insegnato a scrivere queste sei parole a dimostrare un bene incondizionato per quel padre cosรฌ potente e autoritario che non sopportava ciรฒ che il destino gli aveva prescritto. Era nato in casa, come la maggior parte dei bambini dell’epoca. La sua nascita perรฒ non era stata una gioia per il babbo e la mamma, due signorotti Poliziani di fine ottocento, che possedevano e abitavano in un palazzo storico dentro le mura di Montepulciano. Lui un notabile poliziano orfano di entrambi i genitori, e lei unica figlia di un ricco possidente terriero, bramoso di un nipotino a cui lasciare la sua fortuna. Il matrimonio era stato un tripudio di orpelli e prelibati manicaretti. Il viaggio di nozze, lungo piรน di un mese, aveva favorito il concepimento di una creatura che dopo nove mesi avrebbe dovuto mettere tutti d’accordo. Fatto sta che il ricco nonno muore durante il rigido inverno successivo, e i due sposini si ritrovano soli soletti nell’immenso palazzo gentilizio, nella routine dei giorni che procedevano velocemente verso quello della nascita del piccolo e fortunato erede. Ma il fato era in agguato e, durante una piovosa notte di febbraio, venne al mondo uno scherzo della natura dalle vaghe sembianze umane. La levatrice fu colta da malore e per tutta la vita finse di non ricordarsi nulla dell’accaduto, anche grazie ad una lauta ricompensa in denaro. La coppia di sposini, complici silenziosi di un misfatto sinistro e terribile, tenne tutto nascosto. Il bambino fu recluso fino alla morte, avvenuta quasi certamente per arresto cardiaco, nella soffitta del palazzo, una sorta di gobbo di Notre Dame anche se con un finale decisamente meno felice. La ragazza rimase atterrita dal racconto del vecchio custode del palazzo e, guardandolo di sbieco, capรฌ che la sua nonna materna, che all’epoca faceva la governante presso quella famiglia non era stata vittima di allucinazioni spiritiche, ma aveva sentito davvero quei rumori che giungevano dalla soffitta del palazzo, inaccessibile alla servitรน. In particolare, una sera che i signori erano usciti per una passeggiata nel frescolino d’inizio primavera, le era sembrato di sentire un bisbiglio che giungeva da dietro la porta del soppalco, una specie di lamentela che si alternava a scricchiolii flebili. Stava per entrare forzando la porta, ma i signori rincasarono in quell’istante e indugiรฒ, reprimendo per sempre quella curiositร  che avrebbe potuto provocargli un brusco licenziamento. La giovane chiese al custode se poteva accompagnarla a visitare la soffitta ma lui, alzando la mano destra in senso di diniego, le disse che se voleva poteva andare da sola, perchรฉ lui non sarebbe mai e poi mai entrato in quella stanza. La ragazza si armรฒ di coraggio, entrรฒ nella mansarda e notรฒ che era spoglia e semi buia. La sedia a dondolo le apparve quasi all’improvviso, un cuscino polveroso copriva la seduta, lo alzรฒ quasi per istinto e, nei fogli ripiegati e ingialliti dal tempo che vi trovรฒ, c’erano scritte in maniera infantile ed incerta ben altro che sei parole.