di Giuliano Lenni
“Buonasera signore e signori, benvenuti al nostro bruscello…”. Inizia con questa ormai celebre frase il Bruscello Poliziano, che va in scena all’ombra del maestoso Duomo di Piazza Grande. Infatti, è dal lontano 1939 che la Compagnia Popolare del Bruscello propone, nelle calde sere di mezza estate, questo classico spettacolo derivante dall’antica cultura contadina, la quale ci regala ancora una volta una tradizione popolare che è, di fatto, uno spaccato di vita quotidiana dei tempi andati che, grazie all’impegno costante dei “bruscellanti”, resiste ancora oggi viva e lucida anche nella mente dei giovani, deputati a tramandare ai posteri gesta e storie raccontate in versi di Pia dei Tolomei, Margherita da Cortona, Ghino di Tacco, Giulietta e Romeo, Il Poliziano, Sant’Agnese, tanto per citarne alcuni, in un intreccio d’amori, battaglie e leggende. Il termine Bruscello deriva dalla trasformazione popolare della parola arboscello, che era ed è tuttora l’elemento decorativo e simbolico della rappresentazione. Il territorio di Montepulciano è da secoli una culla di tradizioni legate al festeggiamento di ricorrenze particolarmente sentite dal popolo e riconducibili alla vita terrena dell’uomo nella sua campagna, da cui dipendevano stagione dopo stagione e, proprio il Bruscello, è forse la rappresentazione più sentita di quel tempo che fu. Il Bruscello delle origini veniva cantato in momenti di svago, quando, gruppi di giovani, in tempo di Quaresima o durante il Carnevale, andavano di podere in podere, o agli incroci, o sui sagrati delle chiese, dove si ritrovava la gente, improvvisando scene guerresche o d’amore, che ammaliavano tutti coloro che vi assistevano e che, dopo una scenetta drammatica o divertente, donavano denari o vettovaglie con le quali gli improvvisati e divertenti attori organizzavano una grande festa finale. I vari personaggi che si intersecavano nella storia, sia maschili che femminili, erano interpretati da uomini, e i testi venivano cantati con la evocativa musica dall’organetto, accompagnato dai tamburi, violini, chitarre e flauti. I Bruscelli, che andavano in scena principalmente nei giorni festivi, vedevano i bruscellanti, arrivare in corteo al podere, nella piazza principale del paese, sul sagrato della chiesa o ad un incrocio, con in testa il “Vecchio del Bruscello”, che portava l’arboscello, seguito dai musicisti. I bruscellanti, disponendosi in semicerchio, cantavano in coro e da soli secondo l’argomento. Dopo aver fatto divertire tutti i convenuti con sberleffi e battute, o averli commossi con storie tragiche, all’ombra dell’arboscello che drizzavano al centro, la compagnia si trasferiva in un'altra sede con allegria e spensieratezza. Le storie che venivano interpretate nel Bruscello erano molto sentite dagli spettatori, che prendevano parte alla recita imparando a memoria le frasi recitate dai bizzarri attori, schierandosi a favore di un personaggio o di un altro, favorendo di solito chi aveva subito il torto o l’ingiustizia dall’arrogante e potente signore. Questo sistema di “fare il Bruscello” è durato fino alla fine degli anni ’50, quando la Valdichiana è rimasta orfana delle grandi famiglie e dei molti abitanti che affollavano i poderi, dopodiché le tradizioni popolari sono scomparse o hanno dovuto trasferirsi dentro le mura cittadine. Ciò vale solo in parte per il Bruscello poliziano, che è sopravvissuto allo spopolamento delle campagne per aver compiuto una fondamentale operazione di avanguardia, trasferendosi in Piazza Grande nel 1939 iniziando ad evolversi e quindi continuando a vivere al di là della scomparsa della tradizione; giungendo fino a noi mutato sì nella scenografia, nei costumi, per la presenza delle luci, etc., ciò fu necessario per andare incontro alle necessità di un pubblico più vasto ed esigente, diventando così spettacolo a volte epico, a volte drammatico, a volte farsesco, con episodi creati dalla fantasia popolare o realmente accaduti, attinenti alla storia o alla letteratura, ma rimanendo comunque legato alla sostanza dei temi che da sempre hanno alimentato la fantasia popolare e che rimangono il vero amalgama della continuità della tradizione popolare. Con il tempo, soprattutto per opera di don Marcello, i testi si sono arricchiti di nuove storie e avvenimenti, accompagnati dalla stessa musica costruita su motivi tradizionali, una sorta di cantilena presente in tutte le rappresentazioni popolari della Toscana e plasmabile sulle varie interpretazioni a secondo dell’inflessione della voce, modulata ad arte dal cantastorie, dallo storico e dagli attori a buon bisogno. Il sopra citato “Vecchio del Bruscello”, che era il personaggio di spessore della compagnia, portava l’arboscello e introduceva la storia dando inizio alla rappresentazione, con il tempo è stato sostituito dal “cantastorie” e dallo “storico” che sono divenuti i personaggi su cui ruota tutta la compagnia degli attori e delle comparse. Il più famoso cantastorie del Bruscello Poliziano è stato Arnaldo Crociani, conosciuto con il soprannome di “osso”, un personaggio che ha segnato in modo indelebile la storia del Bruscello, così come lo storico Alfiero Tarquini, che ha sostituito il babbo Angiolino detto “fagiolino”, presente fin dalla prima edizione. “Un ricordo particolare va ad un grande personaggio che la Compagnia del Bruscello incontrò arrivando nella piazza principale della città: Fausto Romani, meglio conosciuto come “Mence”, un baritono dallo splendido timbro vocale che per lungo tempo è stato il protagonista maschile di tutti i Bruscelli, realizzando anche le scenografie di molti allestimenti” (cit. Mario Morganti). La famiglia Romani, dopo il Mence, è rimasta legata in modo costante al Bruscello con suo nipote Franco, il “pipas”, oggi regista, scenografo e dirigente della Compagnia. Franco è stato presidente dell’Istituto Comunale di Musica e del Cantiere Internazionale d’Arte di Montepulciano, fondatore e direttore artistico dell’Arteatro Gruppo è l’ideatore del premio poliziano alla cultura “Sganarello d’oro” ed è autore di diversi spettacoli per bambini oltre che del Bruscello del 1998, “Del Pecora”. Da segnalare Sant’Agnese la Santa di Montepulciano, messo in scena per onorare il settimo centenario della morte dell’amata Santa Poliziana. Franco Romani ha diretto l'ennesima rappresentazione popolare sotto forma di Bruscello, che ha visto alla regia Marco Mosconi, al debutto in questa veste. Sono sicuro che alla fine dello spettacolo, il cantastorie congederà il pubblico, come fa da sempre con la celebre strofa: “Buonanotte, voi giù che ascoltate, per quest’anno il Bruscello è finito. Grazie a tutti, signori, e scusate, se un po’ tardi vi mando a dormir. Ecco termina il dramma ed il canto, che avrà fatto gioir più d'un cuore; forse è troppa la gioia, poco il pianto ma è la vita ch'è fatta così!”. Così dicendo, farà calare il sipario sull’ultimo spettacolo andato in scena, dando spazio ai Bruscelli futuri, nel segno della continuità e della storia della tradizione popolare legata alla nostra terra e alla nostra civiltà.
“Buonasera signore e signori, benvenuti al nostro bruscello…”. Inizia con questa ormai celebre frase il Bruscello Poliziano, che va in scena all’ombra del maestoso Duomo di Piazza Grande. Infatti, è dal lontano 1939 che la Compagnia Popolare del Bruscello propone, nelle calde sere di mezza estate, questo classico spettacolo derivante dall’antica cultura contadina, la quale ci regala ancora una volta una tradizione popolare che è, di fatto, uno spaccato di vita quotidiana dei tempi andati che, grazie all’impegno costante dei “bruscellanti”, resiste ancora oggi viva e lucida anche nella mente dei giovani, deputati a tramandare ai posteri gesta e storie raccontate in versi di Pia dei Tolomei, Margherita da Cortona, Ghino di Tacco, Giulietta e Romeo, Il Poliziano, Sant’Agnese, tanto per citarne alcuni, in un intreccio d’amori, battaglie e leggende. Il termine Bruscello deriva dalla trasformazione popolare della parola arboscello, che era ed è tuttora l’elemento decorativo e simbolico della rappresentazione. Il territorio di Montepulciano è da secoli una culla di tradizioni legate al festeggiamento di ricorrenze particolarmente sentite dal popolo e riconducibili alla vita terrena dell’uomo nella sua campagna, da cui dipendevano stagione dopo stagione e, proprio il Bruscello, è forse la rappresentazione più sentita di quel tempo che fu. Il Bruscello delle origini veniva cantato in momenti di svago, quando, gruppi di giovani, in tempo di Quaresima o durante il Carnevale, andavano di podere in podere, o agli incroci, o sui sagrati delle chiese, dove si ritrovava la gente, improvvisando scene guerresche o d’amore, che ammaliavano tutti coloro che vi assistevano e che, dopo una scenetta drammatica o divertente, donavano denari o vettovaglie con le quali gli improvvisati e divertenti attori organizzavano una grande festa finale. I vari personaggi che si intersecavano nella storia, sia maschili che femminili, erano interpretati da uomini, e i testi venivano cantati con la evocativa musica dall’organetto, accompagnato dai tamburi, violini, chitarre e flauti. I Bruscelli, che andavano in scena principalmente nei giorni festivi, vedevano i bruscellanti, arrivare in corteo al podere, nella piazza principale del paese, sul sagrato della chiesa o ad un incrocio, con in testa il “Vecchio del Bruscello”, che portava l’arboscello, seguito dai musicisti. I bruscellanti, disponendosi in semicerchio, cantavano in coro e da soli secondo l’argomento. Dopo aver fatto divertire tutti i convenuti con sberleffi e battute, o averli commossi con storie tragiche, all’ombra dell’arboscello che drizzavano al centro, la compagnia si trasferiva in un'altra sede con allegria e spensieratezza. Le storie che venivano interpretate nel Bruscello erano molto sentite dagli spettatori, che prendevano parte alla recita imparando a memoria le frasi recitate dai bizzarri attori, schierandosi a favore di un personaggio o di un altro, favorendo di solito chi aveva subito il torto o l’ingiustizia dall’arrogante e potente signore. Questo sistema di “fare il Bruscello” è durato fino alla fine degli anni ’50, quando la Valdichiana è rimasta orfana delle grandi famiglie e dei molti abitanti che affollavano i poderi, dopodiché le tradizioni popolari sono scomparse o hanno dovuto trasferirsi dentro le mura cittadine. Ciò vale solo in parte per il Bruscello poliziano, che è sopravvissuto allo spopolamento delle campagne per aver compiuto una fondamentale operazione di avanguardia, trasferendosi in Piazza Grande nel 1939 iniziando ad evolversi e quindi continuando a vivere al di là della scomparsa della tradizione; giungendo fino a noi mutato sì nella scenografia, nei costumi, per la presenza delle luci, etc., ciò fu necessario per andare incontro alle necessità di un pubblico più vasto ed esigente, diventando così spettacolo a volte epico, a volte drammatico, a volte farsesco, con episodi creati dalla fantasia popolare o realmente accaduti, attinenti alla storia o alla letteratura, ma rimanendo comunque legato alla sostanza dei temi che da sempre hanno alimentato la fantasia popolare e che rimangono il vero amalgama della continuità della tradizione popolare. Con il tempo, soprattutto per opera di don Marcello, i testi si sono arricchiti di nuove storie e avvenimenti, accompagnati dalla stessa musica costruita su motivi tradizionali, una sorta di cantilena presente in tutte le rappresentazioni popolari della Toscana e plasmabile sulle varie interpretazioni a secondo dell’inflessione della voce, modulata ad arte dal cantastorie, dallo storico e dagli attori a buon bisogno. Il sopra citato “Vecchio del Bruscello”, che era il personaggio di spessore della compagnia, portava l’arboscello e introduceva la storia dando inizio alla rappresentazione, con il tempo è stato sostituito dal “cantastorie” e dallo “storico” che sono divenuti i personaggi su cui ruota tutta la compagnia degli attori e delle comparse. Il più famoso cantastorie del Bruscello Poliziano è stato Arnaldo Crociani, conosciuto con il soprannome di “osso”, un personaggio che ha segnato in modo indelebile la storia del Bruscello, così come lo storico Alfiero Tarquini, che ha sostituito il babbo Angiolino detto “fagiolino”, presente fin dalla prima edizione. “Un ricordo particolare va ad un grande personaggio che la Compagnia del Bruscello incontrò arrivando nella piazza principale della città: Fausto Romani, meglio conosciuto come “Mence”, un baritono dallo splendido timbro vocale che per lungo tempo è stato il protagonista maschile di tutti i Bruscelli, realizzando anche le scenografie di molti allestimenti” (cit. Mario Morganti). La famiglia Romani, dopo il Mence, è rimasta legata in modo costante al Bruscello con suo nipote Franco, il “pipas”, oggi regista, scenografo e dirigente della Compagnia. Franco è stato presidente dell’Istituto Comunale di Musica e del Cantiere Internazionale d’Arte di Montepulciano, fondatore e direttore artistico dell’Arteatro Gruppo è l’ideatore del premio poliziano alla cultura “Sganarello d’oro” ed è autore di diversi spettacoli per bambini oltre che del Bruscello del 1998, “Del Pecora”. Da segnalare Sant’Agnese la Santa di Montepulciano, messo in scena per onorare il settimo centenario della morte dell’amata Santa Poliziana. Franco Romani ha diretto l'ennesima rappresentazione popolare sotto forma di Bruscello, che ha visto alla regia Marco Mosconi, al debutto in questa veste. Sono sicuro che alla fine dello spettacolo, il cantastorie congederà il pubblico, come fa da sempre con la celebre strofa: “Buonanotte, voi giù che ascoltate, per quest’anno il Bruscello è finito. Grazie a tutti, signori, e scusate, se un po’ tardi vi mando a dormir. Ecco termina il dramma ed il canto, che avrà fatto gioir più d'un cuore; forse è troppa la gioia, poco il pianto ma è la vita ch'è fatta così!”. Così dicendo, farà calare il sipario sull’ultimo spettacolo andato in scena, dando spazio ai Bruscelli futuri, nel segno della continuità e della storia della tradizione popolare legata alla nostra terra e alla nostra civiltà.