IN RICORDO DEL 150° ANNIVERSARIO DELL'UNITÀ D'ITALIA


1849, LA RITIRATA DI GARIBALDI
ATTRAVERSO LA VALDICHIANA SENESE
Testo liberamente tratto dal libro dello stesso autore “Successe in Valdichiana”
Editrice Thesan & Turan - 2010 Montepulciano

                                       DI ALESSANDRO ANGIOLINI

Tra la fine del 1848 e i primi mesi del 1849, il disastroso epilogo della guerra di redenzione aveva annichilito i sogni unitari dei patrioti che volevano ad ogni costo “l'Italia Una”.
   La visione del re Carlo Alberto di Savoia di ergersi a liberatore del lombardo – veneto si era spenta per sempre con le sconfitte di Custoza e Novara. Il coraggio dei giovani volontari universitari del battaglione toscano affogato nel sangue delle impari battaglie di Curtatone e Montanara. Le speranze che i mazziniani avevano riposto nella costituzione liberale promulgata dal pontefice Pio IX svanite con il repentino dietro – front di colui che di lì a poco si dimostrò come uno dei papa re più feroci della storia.
   Il quarantotto rivoluzionario iniziato in gloria con l'insurrezione di Palermo e di Venezia, passato attraverso le Cinque giornate di Milano, lo Statuto albertino, la guerra all'Austria e le Costituzioni liberali, terminava con l'imminente ritorno al potere dei regimi reazionari. Ma l'onda ribelle del quarantotto investirà il 1849 con un’epica vicenda scritta nelle pagine più belle della Prima guerra per l'indipendenza italiana e del Risorgimento: l'eroica resistenza delle Repubbliche di Venezia e Roma.
   A parte la fugace apparizione sulla scena della guerra del '48 in Lombardia, tra il varesotto e il lago di Como (scontri di guerriglia con gli austriaci simili a quelli condotti fino a poco tempo prima in America del sud: “guerra guerriata o piccola guerra”, come la chiamerà Giuseppe Bandi), Garibaldi iniziò proprio dalla Città Eterna l'avventura più incredibile che darà vita alla mitizzazione del suo personaggio. 
   Il primo luglio 1849 l'Assemblea Costituente Romana si arrese alle soverchianti forze dell'esercito francese corso in aiuto del papa esiliato. I triumviri  dichiararono di aver cessato “una difesa oramai impossibile” e il Generale, deciso a non arrendersi, alla testa di 3.000 uomini, uscì da Porta San Giovanni lasciando Roma in mano alle truppe mandate in Italia da Luigi Napoleone. Al  suo fianco cavalcava l'inseparabile donna della sua vita: la moglie Anita Ribeiro da Silva, incinta ed ammalata (morirà durante la fuga a Mandriole nelle Valli di Comacchio, il 4 agosto 1849). Era quella la fine della gloriosa Repubblica Romana, breve parentesi di libertà dalla tirannide papalina millenaria padrona dell’Urbe. Di lì a poco, il vicario di cristo in terra sarebbe tornato a regnare con la repressione seduto sul trono di san Pietro.
   La tattica eseguita da Garibaldi per la ritirata verso nord eluse il controllo delle truppe filo - pontificie che invano tentarono di bloccare la sua partenza da Roma e mai cercarono lo scontro in territorio aperto tra il reatino e l'Umbria forse intimoriti da quello strano esercito dipinto come “una masnada di filibustieri, ladri ed assassini”.
   Braccato in Toscana da oltre 17.000 uomini guidati dal generale austriaco D'Aspre, come in una sorta di interminabile caccia alla volpe, la sapiente strategia militare di Garibaldi unita all’abilità di movimento della truppa sul territorio, permise alla legione fuggiasca una serie di soste quasi mai intercettate dal fuoco nemico: “Gli austriaci ci cercavano  (…). Guidati dovunque da esperti conduttori (ed ho veduto i preti stessi, col crucifisso alla mano, condurre contro di noi i nemici del mio paese), essi sempre ci trovavano, ad una cert’ora del giorno, essendo sempre di notte le nostre mosse, ma ci trovavano generalmente in forti posizioni, e non ardivano di attaccarci (…).” (Garibaldi, “Memorie”, 1872).
Il 17 luglio, il primo paese ad essere toccato dai volontari lungo la linea di frontiera fu Palazzone, in territorio senese. Lo stesso giorno a Cetona, paese libero da truppe granducali, Garibaldi e i suoi uomini furono accolti da una folla festante. Il 18, dopo il ricongiungimento dei reparti di cavalleria mandati in direzioni diverse per confondere gli inseguitori, l'esercito si mosse verso Sarteano dove si accampò.
   E’ proprio in questi giorni che accaddero i famosi fatti di Chiusi. Nei pressi di Palazzo Tosoni due cavalieri in esplorazione vennero catturati dopo una sparatoria “(…) dai contadini del vescovo di Chiusi”, racconta Garibaldi nelle sue famose memorie. “Io reclamai quei miei prigionieri, che certamente credevo in pericolo nelle ugna dei discendenti di Torquemada,  mi furon negati. Feci marciare allora, per rappresaglia, tutti i frati di un convento (i francescani di Cetona, n.d.a.) alla testa della collonna, minacciando di farli fucilare, ma l’arcivescovo, duro, fece sapere che molta stoffa v’era in Italia per far dei frati, e non volle restituirmi i prigionieri. Credo poi di più: ch’egli desiderava l’eccidio di quei suoi soldati, per spacciarli poi alla canaglia come tanti santi martiri. Io sciolsi i frati allora (furono liberati nei pressi della fattoria di Brolio, sulla strada per Castiglion Fiorentino, n.d.a.)” .                    
    A Montepulciano i garibaldini giunsero nel tardo pomeriggio del 19  luglio transitando per Chianciano e Sant’Albino. I soldati si accamparono nel prato di Poggiofanti, antistante  la chiesa di Sant’Agnese.  Durante la notte invece, Garibaldi e sua moglie furono ospitati nella casa di Mariotto Fabbrini detto “Chiepo” in via delle Erbe. È nella massonica città del Poliziano che Garibaldi stampò il manifesto con il patriottico appello per incitare il popolo toscano a combattere: “(...) Toscani! La nostra divisa, sia sempre quella, che voi pronunciaste primi. Fuori gli stranieri – Fuori i traditori”.    
   Garibaldi partì da Montepulciano nel pomeriggio del 20 luglio, mentre una delle sue avanguardie di cavalleria aveva lasciato la città del Poliziano alle sei del mattino del giorno precedente: “In questa mattina 19. a ore sei il suddetto distaccamento è partito tranquillamente prendendo la strada di Monte Follonico” (nota aggiuntiva ad una missiva della Civica magistratura al prefetto di Siena. Archivio comunale di Montepulciano).
   Il racconto merita ora un approfondimento utile a capire quale strada percorse il grosso della legione per raggiungere Torrita. Per far questo ci affideremo ad una serie di documenti e cronache di libri che ci sveleranno retroscena e curiosità ancora poco conosciute. Un ignoto religioso del clero locale ci ricorda la vicenda dei frati cetonesi prigionieri: “ (…) circa le ore 5 pomeridiane giunsero vicino alla Cura della Madonna delle Grazie, un miglio distante da Montepulciano, e trovarono Garibaldi, che con la sua masnada ed i religiosi prigionieri dirigevasi verso Torrita, prendendo la strada detta “la corta”.         (…). In compagnia pure loro fu messo il Sotto – Prefetto di Montepulciano, e così tutti uniti giunsero, a un'ora di notte circa, a Torrita, e furono abbivaccati presso il giuoco del pallone. Alcune benevole persone di questo paese, vedendoli in questa guisa strascicati e condotti, si presentarono da Garibaldi, onde ottennero almeno il permesso di portargli la cena e qualche coperta, quando ottenere non potessero di ricoverarli nella notte. Di portargli la cena e qualche coperta per coprirsi nella notte lo permise, ma di dormire in qualche casa, no”.            
   La cavalleria d’avanguardia lasciò quindi Montepulciano almeno dodici ore prima dell’arrivo del Generale prendendo, come scritto nella lettera, la strada di Montefollonico. La via percorsa dal distaccamento garibaldino in avanscoperta, è l’odierna provinciale 146 per Pienza con deviazione a Poggio S. Pietro per Montefollonico.
   Nel pomeriggio del 20 luglio Garibaldi e il grosso della truppa lasciarono Montepulciano. La sua partenza e il suo percorso per raggiungere la Valdichiana e Torrita è ricordato da differenti versioni che come vedremo possono essere definite tutte veritiere.
   Come abbiamo letto nel racconto del religioso sui frati francescani presi in ostaggio, anche Garibaldi “(...) con la sua masnada ed i religiosi prigionieri dirigevasi verso Torrita, prendendo la strada detta “la corta””.
   Raffaele Belluzzi nel suo volume pubblicato nel 1899 e intitolato “La ritirata di Garibaldi da Roma nel 1849”, ci racconta che la legione lasciò Montepulciano alle diciassette del 20 luglio accompagnata da Martino Soldati che si offrì come guida per portare Garibaldi e i suoi uomini fino a Torrita, suo paese natio. Oltre ai fatti, il Belluzzi pubblicò anche una testimonianza di Martino Soldati: “Prima di notte la colonna, che era partita alle cinque pomeridiane da Montepulciano, giunse in Torrita, passando per Pargiano, S. Benedetto, Caselle, e qui pure fu accolta con ogni cordialità dagli abitanti. La Guardia civica si offrì e fece coi garibaldini il servizio di perlustrazione colle pattuglie e di guardia ai posti designati; principali fra essi e più numerosi quelli che occupavano e sorvegliavano le porte del paese, il quale, in caso estremo, doveva servire di rifugio. L'accampamento fu posto al di fuori, sui due lati della strada di Sinalunga, e diviso in tre colonne. Era stato di guida alla colonna Martino Soldati di Torrita ed ecco come, stando al suo racconto, egli fu a tale ufficio prescelto.
   Nel 1849 ero giovanotto e, saputo dell'arrivo di Garibaldi in Montepulciano, accorsi colà per vedere l'Eroe. Mi ero spinto fino al convento di Sant'Agnese ove, durante l'ora del pranzo, m'ero introdotto fra le ordinanze ed appostato vicino all'uscio del refettorio. Nell'andirivieni degl'inservienti, ed ogni qual volta l'uscio si apriva io gettavo lo sguardo nell'ampio salone per scorgervi Garibaldi, l'Anita e quanti lo attorniavano. Non so come e da chi fosse riferito a Garibaldi di cotesto giovane di Torrita che si mostrava di lui tanto entusiasta; fatto si è che egli mi fece chiamare, sedere a lui vicino alla mensa, ripetendomi più volte: io avrò bisogno di voi come guida. Levate le mense, fui pronto all'ora della partenza, mi si fece montare a cavallo e stetti sempre accanto al generale, il quale mi colmò di ogni gentilezza, e mi fece dono di questo portasigari ricolmo (un astuccio verde con su dipinto a colori una testina di donna) e non è a dirsi come io fossi in quella notte, per me indimenticabile, come trasportato in un cielo di beatitudine.
   Nelle ore notturne nell'accampamento si infornò il pane e si prepararono le razioni di carne per poterne fare la distribuzione senza impedimenti prima della partenza, ed in vista di un possibile attacco col nemico ogni uomo ed ogni animale fu provvisto delle razioni per due giorni. Alle due e mezzo di notte la colonna si pose in marcia per Foiano, ove giunse, fatto un breve alt a Bettolle, alle prime ore del mattino, indugiandosi per istrada al fine di riunirsi con Migliazza, il quale, invece, trovavasi già in Foiano stesso”.
   Sia  il Belluzzi  quanto la guida torritese, non ci dicono con precisione quale fu, o quale furono le strade percorse dalla legione. La via seguita non fu come si potrebbe immaginare quella classica e più diretta da Montepulciano a Torrita per “la corta” (questa strada, come vedremo più avanti, venne utilizzata solo in parte), troppo prevedibile e comunque non in linea con le direttive di ritirata che fin da Roma avevano reso l’esercito garibaldino quasi inafferrabile   alle grinfie degli inseguitori: “(…) accennare ad una méta e camminare improvviso per l’altra; partire ostensibilmente per la via maestra e fuori di vista scappar per le traverse; (…).” (Giuseppe Guerzoni, “Garibaldi”, 1882).
   “Per depistare il nemico, Garibaldi procedette a zig zag seguendo il suo   fiuto di   guerrigliero   e   dimostrando di possederne come nessuno.”  (Indro Montanelli, “Garibaldi”, 1963).
   “(…) egli fa eseguire alla sua colonna una serie di marce e di contromarce, mutando continuamente direzione e per meglio ingannare gl’inseguitori fa spargere false voci sul suo itinerario. (…) Bisogna distanziare le truppe austriache, guardarsi dalle imboscate, spesso mutare itinerario, sguinzagliare in ogni direzione pattuglie isolate per trarre in inganno gl’inseguitori”. (Giacomo Lumbroso, “Garibaldi”, 1938).  
   Altra strategia fu quella di frazionare la legione in più gruppi che dovevano raggiungere la tappa successiva  percorrendo itinerari diversi attraverso strade secondarie e carrarecce di campagna. A confermare questa tattica è un documento scritto durante la seduta straordinaria della Civica magistratura poliziana del 18  luglio dove appunto si ricorda: “(…) Tenuta Sessione su i movimenti delle diverse Bande comandate dal Generale  Garibaldi, le quali provenienti dallo Stato Romano, hanno varcato i confini Toscani (…)”.
   Da Montepulciano a Torrita si continuò a seguire  questa condotta e a testimoniarlo sono alcune incerte tracce lasciate nella bibliografia ufficiale e nei ricordi popolari tramandati di generazione in generazione.
   Luigi Scalchi, nel suo volume intitolato “Storia della guerra d’Italia, dal 18 marzo 1848 al 29 agosto 1849” (Bologna, 1962), scrive qualcosa in più sui distaccamenti garibaldini di quei giorni: “Garibaldi (…) occupò Montepulciano con 1500 uomini tra fanteria e cavalleria. Vari piccoli corpi occupavano allora Sarteano, il Monte Renaio, Celle, San Casciano dei Bagni e Roccalbegna, impedendo così che il corpo principale rimanesse sorpreso. (…) Garibaldi traendo seco alcuni ostaggi lasciò Montepulciano. Il giorno 21 teneva il grosso delle sue file a Turrita, ed aveva l’avanguardia a Foiano. Gli austriaci oltre all’occupazione di Cetona avevano pure operata quella di Chiusi, d’altri luoghi di quella linea, ed erano anco entrati in Montepulciano, dove, sorpresa una porzione del corpo di Garibaldi, parte fu messa in disordine, e parte fu fatta prigioniera od uccisa”. 
   Il Belluzzi ricorda che i garibaldini raggiunsero Torrita passando per “Pargiano, San Benedetto e Caselle”. Nei dintorni di Montepulciano è possibile trovare questi toponimi (Caselle e Casella è ripetuto più volte e in  punti diversi anche distanti tra loro del territorio comunale. Il Repetti nel suo Dizionario scrive che Caselle di Montepulciano era l’antico nome dell’attuale località di San Biagio dove sorge l’omonimo tempio), eccezione  per Pargiano, nome che forse l’autore avrà confuso nella trascrizione con Argiano. È probabile quindi che una parte della legione come retroguardia sia tornata indietro di qualche chilometro passando per San Benedetto sotto Totona e poco prima di Sant’Albino si sia diretta verso nord transitando per Argiano e Acquaviva. Dalla frazione poliziana i soldati si diressero verso Parcese (l’odierna Montepulciano Stazione),  Caselle e lungo la via Lauretana, costeggiando  l’argine  dell’antico corso del torrente Salarco, si ricongiunsero sotto la fattoria granducale di Abbadia al resto della legione proveniente da Gracciano – Fontago e guidata dallo stesso Garibaldi. 
   A guidarci ora nel percorso dei garibaldini verso Torrita, è un’antica fonte orale tramandata di generazione in generazione e che ancora oggi sopravvive nella comunità di Abbadia di Montepulciano.  Gli ultimi  novantenni del paese ricordano che i loro nonni narravano di aver visto da bambini  il Generale, Anita e quel che restava del glorioso esercito della Repubblica Romana, passare a cavallo e a piedi per la vecchia strada che dal Salarco saliva costeggiando il muraglione della fattoria granducale (oggi Via della Fornace) perché braccati dalle milizie austriache. I ricordi si fanno ancora più appassionati e romantici quando qualcuno afferma di aver sentito raccontare dai “vecchi” che una volta oltrepassata la via Lauretana, l’esercito si fosse fermato per dissetarsi nei pressi di una fonte tuttora esistente, distante un centinaio di metri dalla medioevale chiesina di San Pietro Vecchio: lì, il Generale e Anita abbeverarono i loro cavalli e altrettanto fecero gli altri cavalieri e ancora lì furono sorpresi da una avanguardia di soldati austriaci o della Guardia Civica granducale, magari una guarnigione posta a difesa della ricca e strategica fattoria lorenese, con i quali innescarono una breve ma cruenta scaramuccia di fucilate che lasciarono sul campo alcuni soldati caduti da ambo le parti. I loro corpi vestiti con differenti divise, “rosse e nere quelle dei croati, variopinte e improvvisate quelle dei garibaldini”, così dice il leggendario racconto,  furono sepolti uno vicino all’altro nell’antico cimitero che si trovava intorno alla chiesa. Forse questo episodio potrebbe essere per certe assonanze  lo stesso che Luigi Scalchi ha narrato nel suo libro e riportato poco sopra.
   Come abbiamo detto, a Montepulciano l’esercito in ritirata si divise seguendo diversi itinerari. Una parte di questo, guidato dallo stesso Garibaldi, lasciò le alture di Montepulciano scendendo lungo “la corta” per Torrita ma deviando dopo appena un chilometro nel pian del Salarco verso Gracciano. Testimone inconfutabile di questo percorso è una lapide che ricorda ancora oggi il suo passaggio per l’antico borgo poliziano. La targa venne inaugurata domenica 7 luglio 1907  nel muro esterno dell’osteria dell’allora Piazza Garibaldi durante i festeggiamenti per il centenario della nascita dell’Eroe. Dal paese natale di santa Agnese Segni, i garibaldini proseguirono verso est per la strada secondaria di Fonte Sambuco, passando proprio davanti alla casa natia della venerata suora domenicana.  Altre antiche memorie sopravvissute da queste parti, raccontano che Garibaldi (o magari un altra “banda” della sua divisione) sia passato anche per la vicina località di Fontago e da qui si sia poi diretto verso nord passando per  la  fattoria granducale di Abbadia dove si ricongiunse, come abbiamo visto, con il resto del suo esercito.
   E furono ancora le sconosciute strade di campagna a portare la legione fino a Torrita. Oltrepassata la Lauretana ad Abbadia, la via, oggi semi – scomparsa, proseguiva per Fonte al Giunco, risaliva verso Greppo Vecchio e per la Stradella e i Pantanelli arrivava fino alle porte di Torrita. L’accampamento venne stabilito sulla strada per Sinalunga. A Torrita la sosta fu breve, ma è proprio qui che Garibaldi, deluso dai toscani che non rispondevano al suo appello, decise di puntare senza incertezze verso Venezia. Secondo il Guerzoni infatti: “(…) a Torrita, prende una grande risoluzione! Visto l’effetto del manifesto di Montepulciano, e forzato da troppi indizi a convenire, che se mai v’era cosa, in quei giorni, impossibile era un’insurrezione toscana, delibera istantaneamente di mutar obbiettivo e scacchiere, di abbandonare al più presto il Granducato e il centro d’Italia e di prendere per nuova mèta l’Adriatico e Venezia!”.
   Un altro scrittore contemporaneo di Garibaldi, Francesco Carrano, nel suo libro “I Cacciatori delle Alpi comandati dal generale Garibaldi nella guerra del 1859 in Italia” (Torino, 1860), sottolineò l'importanza della decisione presa dall'Eroe a Torrita: “Da Sarteano la brigata marciò a Montepulciano, ove fu accolto con festa. (…). Poi si passò senza novità a Torrita, e sempre colle stesse cordiali accoglienze. Quivi si seppe che una brigata austriaca stanziava in Perugia, un'altra in Siena, e poco presidio era in Arezzo. Il disegno di Garibaldi era allora stabilmente fermato: spiare per cogliere l'opportunità di passare dal Subappennino al Grande Appennino, e quindi guadagnando una qualche marciata inanzi agli Austriaci, scendere in riva all'Adriatico, e passare a Venezia. Ardua impresa; pur nondimeno la lentezza degli Austriaci e la rapidità del Garibaldi erano ragione a bene sperare. Da Torrita si marciò a Foiano, aspettando ognora di venire alle mani co'nemici”. 
  Durante le poche ore di permanenza a Torrita, Garibaldi si rilassò per qualche minuto nel caffè osteria di Emidio Pasquini  in  piazza del Municipio. Magari a ristorarlo dalla grande fatica fu proprio una amata tazza di caffè fumante del quale, come scrisse Giuseppe Bandi, non poteva farne a meno: “Quell'uomo, solito a vivere con tre o quattro picce di fichi secchi, e con una meluzza acerba, o con pochi chicchi di formentone, avrebbe sofferto le pene atroci d'inferno, se gli fosse mancato una tazza di caffè. Sapendo questo, era sempre nostra cura il provvedergli il caffè, anche se, per averlo, fosse stato necessario il correre a cercarlo in mezzo al fuoco o qualche miglio in mezzo all'acqua”. (Giuseppe Bandi, “I Mille”, 1903).
Inevitabile che negli anni a venire il locale prenderà il nome di Caffè Garibaldi così come si chiama ancora oggi. Nel 1849 la locanda si trovava  in una stanza al pian terreno dello stabile dove ora è ubicata la biblioteca comunale, a pochi metri dall'attuale collocazione in Piazza Matteotti. Non si conosce in quale anno  fu apposta la lapide nella parete interna del vecchio Caffè. l'epitaffio ricorda quel breve momento di quiete, di riflessione dell'Eroe che: STETTE PENSANDO AL FATO AVVERSO PER CUI GALLICHE MASNADE DI CROATI REPUBBLICANI SOFFOCAVANO NEL SANGUE I SUBLIMI IDEALI DELLA ROMANA REPUBBLICA.
   Come allora, la lapide fa ancora bella mostra di sé nel vano d'ingresso della biblioteca comunale. In una nota del libro di Francesco Asso “Itinerari Garibaldini” (2003), si legge che: “(...) In un documento del 1903, con un timbro del museo del Risorgimento Nazionale, N. di Registro B 236/2 e recante anche il timbro Comunità di Torrita, è trascritta l'epigrafe con fregi e il seguente commento: “Lapide apposta nell'antico Caffè Garibaldi (in Torrita – Siena), ove il Duce de' Mille si soffermò. Attualmente il Caffè non esiste più e la stanza, di proprietà della Sig.ra Annunziata Pasquini – Rubegni, serve ad uso di officina meccanica. 18. II. '903”.
   Nei giorni precedenti l'arrivo di Garibaldi, la Civica magistratura di Torrita non registra nessuna deliberazione sull'avvicinarsi della legione così come invece era successo  a Montepulciano. L'unica adunanza è quella tenuta il 27 luglio dove viene registrato l'importo di 400 scudi che la comunità aveva dovuto sostenere per “(...) le spese impreviste e più specialmente quelle avvenute per il transito della Banda Garibaldi”.   
      Alle due e mezza del mattino del 21 luglio la legione, sotto una pioggia battente, era già in viaggio verso Bettolle (4). Giunta a Foiano della Chiana, la truppa si riposò per qualche ora nella piazza fuori Porta Senese (oggi Garibaldi). L’Eroe dei due mondi e Anita, sempre più febbricitante, vennero alloggiati in una casa lì vicino. L’abitazione era di un certo “Pagliuccola” e di sua moglie che proprio in quel giorno dette alla luce una bella bambina. È il Belluzzi a ricordare nel suo libro questo curioso episodio: “Nella notte nacque all'ospite una bambina e chiese al generale che nome le si dovesse imporre. Questi rispose: “Italia” e così fu fatto”.