La gallina di Agnese


Dedicato al primo compleanno di mia figlia Agnese


La nascita di un figlio è qualcosa di speciale, di unico e straordinario. Qualcosa che ti eri sforzato di immaginare ma che quando capita ti accorgi che non avevi capito niente. Credo che sia per tutti così, perlomeno per il primogenito. Quella tarda sera di primavera vidi per la prima volta quella piccola creatura, che era entrata nel bel mezzo della mia vita come un uragano. Quasi non avevo il coraggio di toccarla da quanto era piccola. D’improvviso ho immaginato mille cose tutte insieme, per la mia e per la sua vita fino a confondermi. Poi, passato il primo impatto, mi sono ricomposto pur conservando un sorriso inebetito, a dimostrare una felicità che ancora mi restava difficile cogliere appieno. Poi arrivarono i parenti volti a cercare somiglianze inverosimili, tutti con qualcosa da dire in più dell’altro, tanto da creare un pizzico di smarrimento sui poveri genitori attenti a non ferire l’immaginario di nessuno. Poi la tranquillità della casa ti fa ritrovare la calma e cominci a sentire forte la presenza di un nuovo elemento in famiglia. Il latte ogni tre ore, il cambio pannolino in tutta velocità, un pianto isterico così forte da farti prendere il panico e tutto prosegue per interminabili giorni tra un dormiveglia costante ed una stanchezza che sentirai più avanti. Mentre culli quel piccolo cucciolo arriva una parente che non ha portato il classico regalo di rito ma uno del tutto speciale che ti costringe in un difficile confronto tra la tua bambina e quella dell’immediato dopoguerra. La signora ha portato in dono una gallina, simbolo di amicizia e di prosperità. La gallina di Agnese, come detta la sua razza, non ha penne sul collo, destinata a divenire un buon brodo di carne di pollo, in realtà è tuttora viva e vegeta nel pollaio della nonna che produce uova a volontà. Forse perché di quel brodo oggi non c’è bisogno e dunque risulta molto più facile di un tempo salvare la vita ad una povera bestiola. Regalare una gallina era un’usanza dei tempi passati, quando non c’era molto da mangiare nelle case e i neonati avevano quella carenza di tutto quello che invece oggi abbonda nel nostro vivere quotidiano. Un regalo anomalo, quindi, la gallina, che mi ha spinto a ricordare ciò che mi hanno sempre detto le signore anziane che in qualche epoca fa erano a loro volta fanciulle. Una fanciullezza tra il freddo dell’inverno, con l’acqua gelata nel catino dove ci si doveva lavare, con un vestito a ricrescita al quale venivano allungati solo gli spallaccini così da poter durare per anni, le fasce alle gambe ed al busto quasi a voler modificare il fisico della piccola che invece veniva come gli pareva lo stesso, ma tant’era. Naturalmente i pannolini non esistevano e le madri si arrangiavano come potevano con pezze, fasce e triangolini da lavare dopo ogni uso. Le donne che partorivano, nelle grandi casate contadine, non avevano il tempo di stare con i propri figli che venivano lasciati alla massaia mentre loro si dedicavano ai lavori nei campi fino a quando la stessa massaia le chiamava tramite l’esposizione di un lenzuolo bianco o di altri vari colori se i poppanti erano più d’uno per invitarle a rientrare in casa per la poppata. Poi la guerra, che rese tutto più complicato, con il latte della mucca talvolta indigesto per i piccoli stomaci dei bambini tanto da dover esserci aggiunta l’acqua d’orzo in modo da nutrirli con più sicurezza. Durante i bombardamenti tutti si nascondevano nei rifugi tra freddo, paura e fame, per non parlare del pianto e della tristezza che coglieva un bimbo quando vedeva tornare dalla guerra suo padre, che non conosceva perché non lo aveva mai visto, tra lo sconcerto malinconico del reduce e le parole dolci dalla mamma che cercavano invano di consolarlo. Ma un gridolino di protesta di Agnese mi ridesta dai miei pensieri mentre ignara di ciò che stavo pensando se ne sta con i suoi occhioni spalancati ad assorbire qualsiasi cosa veda intorno e mentre spero che lei non debba fare la grama vita che hanno fatto le sue coetanee d’altri tempi mi riprometto che un giorno racconterò anche a lei le cose che ho sentito dai più anziani, tanto per non farle perdere la memoria. La sua vita trascorrerà meglio dei bambini di allora, avrà la sua cameretta con le foto dei suoi cantanti preferiti e le piccole cianfrusaglie della sua infanzia e dell’adolescenza, vedrà invecchiare il suo babbo senza la tristezza di doverlo rivedere dopo lunghi anni, avrà il conforto della mamma che le starà sempre accanto invece di allontanarsi per lunghe giornate di attesa e crescerà felice e serena fino a divenire anche lei una buona madre per i suoi figli. Ad un anno di distanza dal quel magnifico evento è questo che mi sento di augurare alla piccola Agnese per il suo compleanno e, anche se non sono così sicuro che tutto ciò avvenga, voglio regalarle e regalarmi almeno questa appagante speranza.

In ricordo di Nello Dottori


Un maestro di vita
Molte persone lo hanno conosciuto, per necessità o per fortuna, ma soltanto poche lo portano profondamente nel cuore. Del resto, come diceva un vecchio epitaffio, non si è veramente scomparsi fin quando si rimane vivi nella mente di qualcuno. Quei pochi che lo ricordano ripensano a quel suo modo gentile, di altri tempi, di affrontare la vita di tutti i giorni con ironia, educazione e un pizzico di saggezza tipica di quelle persone che, come amava dire lui, hanno i capelli bianchi dell’esperienza e il cuore puro di un bambino. Nello Dottori, profondamente cattolico e legato alla famiglia, ha trascorso una vita avventurosa che durante la seconda guerra mondiale lo portò a combattere in Italia e in molti paesi stranieri come sottufficiale dell’Aeronautica Militare. Durante quella guerra, come ebbe a dirmi una volta in un momento di estrema confidenza, emerse dal suo animo peraltro già incline alla benevolenza e alla comprensione, la volontà di aiutare il prossimo per rifarsi dei molti dispiaceri che, a dir suo, egli aveva involontariamente causato essendo addetto alle mitragliatrici poste sugli aerei. Quel suo rammarico, che lo portava a chiudere gli occhi in un tipico atteggiamento di estrema sofferenza, gli aveva fatto scattare la molla della solidarietà, quella vera, senza lucro ne falsi onori. Chi non ricorda quel generoso gentiluomo con il maggiolino verde che scorrazzava per Montepulciano, offrendosi di accompagnare casalinghe con le buste della spesa appena fatta oppure conoscenti che gli chiedevano un passaggio occasionale. Molti giovani di Montepulciano gli hanno chiesto un aiuto per superare meglio il periodo militare e lui, con le sue amicizie, ha cercato di accontentarli tutti offrendogli sostegno disinteressatamente. Quando qualcuno era scortese o maleducato lui, sorridendo paciosamente, diceva che in un mondo di arroganza e aggressività il giudizio lo deve adoperare chi ce l’ha, perché ci vuole più coraggio ad andarsene che a reagire. Quante altre cose si potrebbero dire sul caro Nello in questo semplice ricordo affettuoso di chi da lui ha ricevuto del bene! Ma un semplice articolo di giornale non basterebbe ad evidenziare tutte le grandi doti intellettuali ed umane di questo straordinario personaggio. Soltanto un ultimo fatto significativo. Nella sua tomba non ha voluto che ci venisse apposta alcuna foto perché la faccia, secondo il suo pensiero, appartiene alla vita. Dunque, chi si vuol fermare a meditare di fronte al suo ultimo giaciglio non lo deve fare guardandolo negli occhi ma immaginandolo come un’ anima che il 14 febbraio di cinque anni fa, guarda caso nel giorno dedicato all’amore sentimento che ha pervaso tutta la sua vita, si è liberata del corpo depositandosi nel cuore di chi lo ha amato.
Giuliano Lenni

Il professore


In ricordo del professor Emo Barcucci.
Un’andatura morbida, scanzonato e sempre pronto alla battuta misurata. Galante con le signore e un sorriso sereno sempre aperto a chiunque. Una grande cultura che non sfoggiava mai, tanto la intuivano subito tutti. Un lavoratore infaticabile, affidabile e realistico. Un grande insegnante, un grande politico, un grande uomo. Insomma, in una parola, il professore. Come tutte le importanti figure delle società di ogni tempo aveva un pubblico favorevole ed uno contrario, comunque mai dei nemici. Dopo un lungo lasso di tempo trascorso nella capitale, come docente e preside, si era rifugiato per sempre nella sua amata città poliziana contribuendo in modo determinante alla nascita di molte associazioni culturali ed economiche, incoraggiando e sostenendo i più giovani ad intraprendere strade che portavano dritto al benessere ed ad un futuro positivo per un intero paese. Aveva intessuto una fitta ragnatela di situazioni favorevoli per Montepulciano e i suoi abitanti, e proprio quando avrebbe potuto provare gioia per il grande lavoro portato a termine e raccogliere i benefici di quanto aveva seminato purtroppo è venuto a mancare in una funesta notte di novembre, nel modo in cui aveva sempre sognato. Nel posto di lavoro, o meglio, nel luogo dove di notte ritrovava la sua serenità e nel silenzio più assoluto scriveva e pensava senza che alcuno lo disturbasse. Quasi un luogo di meditazione estrema. Ed estrema fu l’angoscia quando, al mattino si sparse la voce della sua dipartita. Il tempo sembrò quasi fermarsi e chi lo aveva conosciuto già in cuor suo sentiva un vuoto enorme. Il funerale solenne ebbe luogo nella Cattedrale, affollata come mai. C’erano tutti a salutare e a ringraziare quell’uomo che tanto aveva dato alla comunità. Credo che il professore avrebbe voluto proprio quel tipo di cerimonia, composta e silenziosa. A distanza di molto tempo rimane un vuoto incolmabile per quella figura rassicurante e brillante che ispirava fiducia in tutti e spingeva ognuno a chiedergli consigli e suggerimenti, che naturalmente ottenevano sempre in maniera misurata ed appagante. Le sue intuizioni hanno segnato un’ epoca in modo tale che tutti i cittadini poliziani ne trarranno beneficio per lungo tempo e il suo nome viene ricordato ancora oggi sempre vivo e chiaro nella mente di chi ha avuto la fortuna di incontrarlo e di conoscerlo. Amava dire la frase commovente “quando non ci sarò più, mi piacerebbe che le persone mi ricordassero dicendo: io l’ho conosciuto”. Ebbene, io l’ho conosciuto. Naturalmente non in modo intenso come un familiare, ma comunque in modo tangibile e abbastanza da poter affermare che il suo nome rimarrà legato per sempre ad una parentesi positiva e difficilmente ripetibile per la nostra città. Resta in me la certezza, che credo di condividere con molti altri, che il suo impegno concreto e amorevole per Montepulciano, sia stato di grande insegnamento per tutti coloro che dovranno adoperarsi per rendere merito alle sue idee illuminate.

Giuliano Lenni

Una soffitta di emozioni


Quando il trasloco ravviva la memoria
Un trasloco è sempre qualcosa di snervante. Mobili da smontare, da rimontare. Oggetti vari da riporre con attenzione negli scatoloni. Enormi quantità di cianfrusaglie che neppure ricordavi di avere e che adesso ti risultano inutili; è passato tanto tempo e non servono più. Capita così che, nella grande quantità di faccende da fare, ti imbatti in oggetti e chincaglierie che risvegliano la tua memoria un po’ offuscata dal grande correre della vita di tutti i giorni e, d’improvviso, ti sorprendi a ripensare agli anni passati con un pizzico di nostalgia. Non che siano passati secoli, intendiamoci, ma vent’anni sono già qualcosa, in questo muoversi del mondo ad una folle velocità. La soffitta è un luogo dove si ripongono tutte quelle cose che al momento ti sembrano utili, che possono servire più in là. Invece non le guarderai più, solo in un eventuale trasloco. Allora ti imbatti nel vecchio diario di scuola con l’immagine dell’urlo di Tardelli nella finale dei mondiali di Spagna ‘82, negli album di figurine Panini che ti ricordano lo scambio dei doppioni tra amici, con quelli che valevano doppio o triplo perché ne avevano stampate solo tre! I giornali dell’epoca, l’Intrepido, il Monello e il Topolino che costava poche lire, era spesso due centimetri e non aveva pubblicità. I giocattoli semplici, di ferro e legno, ormai in disuso con la pista della Polistil mancante di alcuni pezzi di percorso e con le macchinine radiocomandate distrutte perché si finiva sempre fuori pista dato che si andava sempre a manetta. Il cubo di Rubrik che “quasi” nessuno riusciva a terminare, pezzi di giochi che si facevano a scuola invece di studiare, quali il tris, la battaglia navale con i fogli rigorosamente a quadretti e ti viene in mente anche il gioco della bottiglia con i primi approcci amorosi nelle feste in casa. In un angolo ritrovi il “mangiadischi” per i 45 giri (che mangiava veramente i dischi!) che all’epoca ci faceva ballare i lenti con le compagne di classe (almeno a 30 centimetri di distanza!) con la mitica canzone del “Tempo delle mele”. Sparpagliati qua e là rivedi i gettoni colorati delle macchinine, che ti ricordano le canzoni del juke-box al barrino della Marina, massacrato di cazzotti a imitare Fonzie che, con il famoso pollice alzato, accendeva o spegneva quello di Alfred: a lui riusciva sempre e a noi mai, ma chi è che non ha provato! Ripensando al giardino di Poggiofanti, ti riviene in mente di chi arrivava con il Ciao, il Sì o il leggendario Garelli a tre marce e quando per seguire la moda si portavano i jeans stretti sopra le caviglie con la solita, ridondante domanda dell’amico: “che c’hai l’acqua in casa?” La domenica si ascoltava “Tutto il calcio minuto per minuto” con le interruzioni di Ciotti e le discussioni accese ma bonarie tra tifosi di diversa fede calcistica. Quante cose ci sarebbero ancora da richiamare alla memoria, ma ti accorgi che ormai si è fatto buio ed è tempo di uscire dalla soffitta per continuare il lavoro di trasloco. Così riscendi dal solaio con un lieve sorriso che ti accompagna e, ricordando gli amici e qualche simpatica battuta dedichi quell’attimo di fantastica solitudine a chi è un po’ nostalgico come te.
Giuliano Lenni

Guerra e vecchi ricordi



In ricordo del "vecchio" amico Aroldo Martinelli.
Guerra e vecchi ricordi.A proposito dei venti di guerra che spirano attorno al Golfo Persico, tenendo col fiato sospeso milioni di impotenti spettatori di fronte ad una nuova prevista atrocità, mi è tornato in mente che non molto tempo fa, parlando con un “vecchio” amico poliziano, mi capitò di ascoltare un racconto insieme affascinante e terribile a proposito della seconda guerra mondiale. Un racconto di fronte, prigionia e ritorno a casa. Non che ciò sia una novità, ne abbiamo ascoltate di storie su questo argomento. Di solito però le abbiamo sentite “politicizzate”. Inerenti alla realtà, per carità, ma sempre con un accenno di parte a secondo dei ruoli che il narratore aveva in quei tempi bui. A volte a favore dei perdenti, altre ad onore dei vincitori, spesso con una punta d’odio perché chi riferiva era stata vittima di cattiverie, soprusi e quant’altro d’orribile può rappresentare una guerra e, ancora peggio, una deportazione in campi di concentramento. Tuttavia questa volta l’esposizione era diversa, distaccata, propria di una persona anziana che nella vita ha visto di tutto e sopportato tante avversità. Niente ideologia politica né risentimento, ma una lucida constatazione di una stagione di vita, ormai trascorsa da quasi sessantanni, che lo ha reso inconsapevole protagonista insieme a tanti altri suoi coetanei. La sua storia comincia quando nel bel mezzo della guerra parte per il fronte. Un giovane che non aveva mai visto un fucile, nemmeno da caccia, che adesso doveva imparare ad usare nel peggiore dei modi. Un assalto al nemico non portato a termine, la sofferenza e l’impotenza per la cattura, la deportazione in Germania in vari lager e, dopo tante tribolazioni, infine la libertà. Una libertà raggiunta anche a spese di altri giovani che non ebbero la fortuna di riassaporarla e proprio per questo, nel suo narrare, spunta un pizzico di velato senso di colpa. In quei duri anni Aroldo, che tutta la gente di Montepulciano conosce per il suo spirito allegro misto a generosità, ha dovuto lottare contro fame, stanchezza, offese e derisioni ma ciò nonostante, alla fine, è riuscito addirittura a tenere nel cuore il giovanissimo soldato tedesco che non lo denunciò al suo superiore quando, in marcia verso un campo di lavoro, ebbe uno scatto d’ira nei suoi confronti. Spirito di guerra tra poveri, come dice lui. La sua avventura, che qui ritengo tedioso raccontare nei dettagli, mi ha confermato che, anche se è combattuta per una giusta causa, nella guerra chi soffre maggiormente è proprio il popolo e non chi quella guerra l’ha decretata. Probabilmente eliminando loschi interessi economici e antiche diatribe, e prendendo in considerazione l’atteggiamento di quel soldatino tedesco, tante sofferenze e atrocità potrebbero essere evitate restituendo al dialogo la funzione primaria per redigere un accordo tra i popoli in pace ed armonia.
Giuliano Lenni

Vita quotidiana

Pubblicità e vita quotidiana
 Vogliamo farvi vedere solo persone fortunate e felici, alla faccia vostra! Questo fu sicuramente il primo motto occulto di chi inventò la macchina infernale della pubblicità; soprattutto quella televisiva. Nacque così il tempo perennemente bello, famiglie dove babbo e mamma sono ex fotomodelli, i loro bellissimi figli non litigano mai, vanno bene a scuola, sono ubbidienti e l’unica cosa che chiedono è la loro merendina preferita, naturalmente di marca, con la nonna pronta a pulire in un attimo la piccola macchia di cioccolata che è l’unica disgrazia che può capitare a bambini così precisini. Se una donna litiga con il proprio uomo non deve preoccuparsi perché fuori dalla porta ce n’è subito un altro che, augurandole uno psicopatico buonasera, è subito pronto a consolarla. Gli anziani hanno tanti amici e fanno feste in casa con balli e canti, la nonna fa ginnastica artistica come quando aveva quattordici anni e corre a portare i vestiti in spiaggia alla povera nipotina che ha voluto fare il bagno nuda lasciando i vestiti alla mercé di un cagnolone giocherellone e buongustaio. Le strade non sono trafficate, anzi, tu sei l’unico a guidare attraverso paesaggi stupendi; l’unico fastidio te lo può procurare un incauto pilota di aereo che, volando a testa in giù, ti vuole rubare la ragazza! In compenso, quando vai a fare la spesa, c’è sempre qualcuno che ti ringrazia.Con il passare degli anni il giro di affari che ruota attorno alla pubblicità ha incrementato il proprio valore nel panorama economico del nostro paese portando i pubblicitari a ricercare nuove strategie per il successo del prodotto e, non sapendo più cosa inventare, sono addirittura diventati ridicoli procurando complessi mentali insormontabili alla povera particella di sodio, oppure obbligando un orso grande e grosso a bere acqua “a canna” da una bottiglia di plastica quando dovrebbe dissetarsi con quella bellissima acqua fresca in cui si bagna.La vita di tutti i giorni, per bambini, genitori e nonni, non è quella che vediamo nella finzione troppo spesso sciocca e banale della pubblicità ma di solito è una quotidianità di affanni, di problemi grandi e piccoli e di solitudine che ben poco hanno a che vedere con il mondo brillante e incantato delle reclame.Ma d’altronde tutti sappiamo che la pubblicità deve esistere perché è l’anima del commercio, anche se protestiamo quando nel bel mezzo di un colpo di scena in un film giallo compare un pannolino sporco di un bimbo felice, ma il pericolo è che la finzione divenga un sinonimo di realtà, frustrando ancora di più chi non ha le fortune e le felicità di chi crede che il vivere quotidiano sia quella dei filmini pubblicitari. L’unico sollievo ci può essere dato dalla consapevolezza che ogni singola persona, che ogni giorno guarda la televisione, abbia l’intelligenza di prendere la pubblicità come un evento commerciale e non come uno stile di vita, e non pensi, per dirla con un grande cantautore, che la vita quotidiana l’abbia tradito.

Francesco Guccini


Giuliano Lenni con Francesco Guccini 
prima del concerto al Palasport di Firenze il 16 aprile 1999


 


Vita agreste e tradizioni

La vecchia e la nuova vita contadina
Da alcuni anni la vita agreste è tornata a far parlare di se nelle nostre valli e, dopo un parziale abbandono degli antichi poderi, possiamo quasi dire che è tornata di moda. Casolari sapientemente ristrutturati, purtroppo non sempre nel classico sistema rurale toscano, sparsi ovunque a ricordare dove un tempo i nostri nonni trascorrevano la loro vita. Ma davvero i nostri avi vivevano in questi bellissimi edifici dotati di ogni comfort, oppure la vita di allora era un po’ diversa da come la si vuol far apparire oggi? Per dar risposta a questa complessa domanda sulla vita contadina nella campagna poliziana, bisogna necessariamente affidarsi ai ricordi di chi quella vita l’ha vissuta in prima persona. Per questo sono andato a parlare con alcune persone di una “certa età” che mi hanno potuto illustrare esattamente come si svolgevano i fatti di quei tempi andati e, presa carta e penna, mi sono appuntato le occasioni speciali che costellavano quel sistema di vita tipico della Toscana. Anziani che oggi non abitano più negli antichi casolari che hanno ospitato intere generazioni di famiglie che, anche se in certi casi non imparentate formalmente, con il trascorrere degli anni finivano per considerarsi affini a tutti gli effetti rispettandosi e aiutandosi in tutte le varie faccende che volta per volta si presentavano. Lavoro e sacrificio erano le parole d’ordine che vigevano all’interno di queste grandi famiglie, che talvolta arrivavano ad essere composte anche di trenta persone, con il capoccia a far da padrone e la massaia a governare la casa. Naturalmente non esistevano gli svaghi di oggi, come discoteche, birrerie e sale multimediali e dunque i giovani di allora dovevano arrangiarsi come potevano con divertimenti meno sofisticati di oggi ma sicuramente più sani e genuini.Così si festeggiava il Natale, con cavallucci, panforte e “serpe” fatto con pasta di mandorle; chi poteva faceva anche l’albero e il presepe ed il ritrovo notturno per tutti era alla messa di mezzanotte. Il Carnevale era una delle feste più belle, perché si scherzava e si andava a ballare nelle case; durante questo periodo e tutta la quaresima ci si dilettava nella “sega la vecchia”, rappresentazione giocosa improvvisata da simpatici ragazzi che con il ricavato organizzavano una lauta cena per amici e ben accette ragazze; anche il gioco della rotella era di questo periodo e veniva effettuato lungo le strade allora poco trafficate.La Pasqua, oltre alla solennità religiosa, era sinonimo di ciambelle annaffiate con poco vin santo, con i rami di alloro che trionfavano nelle cucine delle massaie per celebrare la benedizione della casa da parte del parroco di turno.Ma c’erano anche le feste di lavoro, quando tutte le famiglie del vicinato si riunivano per aiutarsi nelle mansioni più pesanti. Così si trebbiava faticosamente nell’aia, con pranzo di mezzogiorno e grande festa finale con cena, balli e musica di fisarmoniche e armoniche a bocca. La “sgusciatura del granturco” era la faccenda più bella, perché oltre ad essere divertente creava l’occasione per bisbocciate e serate all’insegna dei giochi di società, canti e balli con la stanchezza addosso ma con la consapevolezza di aver fatto appieno il proprio dovere.Quando poi ci si sposava, allora era un momento davvero ricco di significato. I matrimoni erano momenti solenni, dove gli invitati erano ospitati per una intera giornata di piacere e spasso.Gli sposi e gli invitati da parte della sposa a pranzo dai genitori di quest’ultima e gli invitati da parte dello sposo a pranzo dai genitori dello sposo stesso. Nel pomeriggio tutti gli invitati dello sposo si recavano a casa della sposa per accompagnare i due consorti a casa dello sposo. Il tutto rigorosamente a piedi con sosta nei poderi che trovavano lungo la strada, ognuno dei quali ospitava tutti con una tavolata di prodotti di vario genere a disposizione degli invitati. Questo tipica usanza si chiamava “parata” occasione che, oltre ad essere di distrazione, legava maggiormente le famiglie interessate.A tal proposito c’era una cosa non molto piacevole per chi la riceveva ma di grande maligno sollazzo per chi la impiantava. Era “il befano”. Un fantoccio impiccato su un albero o similare a sfottere una donna lasciata dal fidanzato piuttosto che una zitella che nessuno voleva. Ancora più sconcertante era la “scampanata” improvvisata con secchi, barattoli, trombe e osceni insulti che relegavano in casa i familiari della malcapitata. Certe volte volavano anche cazzotti tra i ragazzi organizzatori e gli uomini della famiglia insultata, ma la sbeffeggiante ragazzata valeva ben qualche ceffone!Un altro momento di svago, adottato principalmente in Valdichiana, era il Bruscello itinerante che vedeva coinvolti un gruppo di ragazzi che, travestiti da vari personaggi o da donna, bussavano alla porta di tutte le case che incontravano nel loro cammino. Dopo una scenetta più o meno divertente, ogni famiglia regalava qualche soldo o qualche “coppia d’ova” agli improvvisati attori che con il ricavato organizzavano una grande festa finale.La sera, se non si era troppo stanchi della pesante giornata di lavoro, ci si organizzava intorno al focolare per la cosiddetta “vegliatura” che talvolta era celebrata nella stanza adiacente alla stalla, magari con un po’ di cattivo odore nel naso ma con un piacevole tepore nel corpo.Questa era la vita dei contadini di allora, quella vera. Fatta di duro lavoro ma anche di piacevole rilassamento. Ma è anche vero che i tempi cambiano ed è giusto che la tecnologia arrivi anche dove un tempo regnava la semplicità, con il gabinetto dietro al pagliaio e il bagno una volta alla settimana, se andava bene. Ma è proprio questo che farei provare all’agriturista di turno, senza vasca idromassaggio, piscine e palestre attrezzate, per fargli capire pienamente che il tenore di vita che vigeva “a quei tempi”, senza sfarzi e orpelli ma con la sobrietà e la schiettezza tipica della gente di queste parti, non è comparabile con quello che gli si vuol far credere che sia.
Giuliano Lenni

Il Bruscello Poliziano


 
“Buonasera signore e signori, benvenuti al nostro bruscello…”. Inizia con questa ormai celebre frase il Bruscello Poliziano, che va in scena all’ombra del maestoso Duomo di Piazza Grande. Infatti è dal lontano 1939 che la Compagnia Popolare del Bruscello propone, nelle calde sere di mezza estate, questo classico spettacolo derivante dall’antica cultura contadina, la quale ci regala ancora una volta una tradizione popolare che è, di fatto, uno spaccato di vita quotidiana dei tempi andati che, grazie all’impegno costante dei “bruscellanti”, resiste ancora oggi viva e lucida anche nella mente dei giovani, deputati a tramandare ai posteri gesta e storie raccontate in versi di Pia dei Tolomei, Margherita da Cortona, Ghino di Tacco, Giulietta e Romeo, Il Poliziano, tanto per citarne alcuni, in un intreccio d’amori, battaglie e leggende. Il termine Bruscello deriva dalla trasformazione popolare della parola arboscello, che era ed è tuttora l’elemento decorativo e simbolico della rappresentazione. Il territorio di Montepulciano è da secoli una culla di tradizioni legate al festeggiamento di ricorrenze particolarmente sentite dal popolo e riconducibili alla vita terrena dell’uomo nella sua campagna, da cui dipendevano stagione dopo stagione e, proprio il Bruscello, è forse la rappresentazione più sentita di quel tempo che fu. Il Bruscello veniva cantato in momenti di svago, quando, gruppi di giovani, in tempo di Quaresima o durante il Carnevale, andavano di podere in podere, o agli incroci, o sui sagrati delle chiese, dove si ritrovava la gente, improvvisando scene guerresche o d’amore, che ammaliavano tutti coloro che vi assistevano e che, dopo una scenetta drammatica o divertente, donavano denari o vettovaglie con le quali gli improvvisati e divertenti attori organizzavano una grande festa finale. I vari personaggi che si intersecavano nella storia, sia maschili che femminili, erano interpretati da uomini, e i testi venivano cantati con la evocativa musica dall’organetto, accompagnato dai tamburi, violini, chitarre e flauti. I Bruscelli, che andavano in scena principalmente nei giorni festivi, vedevano i bruscellanti, arrivare in corteo al podere, nella piazza principale del paese, sul sagrato della chiesa o ad un incrocio, con in testa il “Vecchio del Bruscello”, che portava l’arboscello, seguito dai musicisti. I bruscellanti, disponendosi in semicerchio, cantavano in coro e da soli secondo l’argomento. Dopo aver fatto divertire tutti i convenuti con sberleffi e battute, o averli commossi con storie tragiche, all’ombra dell’arboscello che drizzavano al centro, la compagnia si trasferiva in un'altra sede con allegria e spensieratezza. Le storie che venivano interpretate nel Bruscello erano molto sentite dagli spettatori, che prendevano parte alla recita imparando a memoria le frasi recitate dai bizzarri attori, schierandosi a favore di un personaggio o di un altro, favorendo di solito chi aveva subito il torto o l’ingiustizia dall’arrogante e potente signore. Questo sistema di “fare il Bruscello” è durato fino alla fine degli anni ’50, quando la Valdichiana è rimasta orfana delle grandi famiglie e dei molti abitanti che affollavano i poderi, dopodiché le tradizioni popolari sono scomparse o hanno dovuto trasferirsi dentro le mura cittadine. Ciò vale solo in parte per il Bruscello poliziano, che è sopravvissuto allo spopolamento delle campagne per aver compiuto una fondamentale operazione di avanguardia, trasferendosi in Piazza Grande nel 1939 iniziando ad evolversi e quindi continuando a vivere al di là della scomparsa della tradizione; giungendo fino a noi mutato sì nella scenografia, nei costumi, per la presenza delle luci, etc., ciò fu necessario per andare incontro alle necessità di un pubblico più vasto ed esigente, diventando così spettacolo a volte epico, a volte drammatico, a volte farsesco, con episodi creati dalla fantasia popolare o realmente accaduti, attinenti alla storia o alla letteratura, ma rimanendo comunque legato alla sostanza dei temi che da sempre hanno alimentato la fantasia popolare e che rimangono il vero amalgama della continuità della tradizione popolare. Con il tempo, soprattutto per opera di don Marcello, i testi si sono arricchiti di nuove storie e avvenimenti, accompagnati dalla stessa musica costruita su motivi tradizionali, una sorta di cantilena presente in tutte le rappresentazioni popolari della Toscana e plasmabile sulle varie interpretazioni a secondo dell’inflessione della voce, modulata ad arte dal cantastorie, dallo storico e dagli attori a buon bisogno. Il sopra citato “Vecchio del Bruscello”, che era il personaggio di spessore della compagnia, portava l’arboscello e introduceva la storia dando inizio alla rappresentazione, con il tempo è stato sostituito dal “cantastorie” e dallo “storico” che sono divenuti i personaggi su cui ruota tutta la compagnia degli attori e delle comparse. Il più famoso cantastorie del Bruscello Poliziano è stato Arnaldo Crociani, conosciuto con il soprannome di “osso”, un personaggio che ha segnato in modo indelebile la storia del Bruscello, così come lo storico Alfiero Tarquini, che ha sostituito il babbo Angiolino detto “fagiolino”, presente fin dalla prima edizione. “Un ricordo particolare va ad un grande personaggio che la Compagnia del Bruscello incontrò arrivando nella piazza principale della città: Fausto Romani, meglio conosciuto come “Mence”, un baritono dallo splendido timbro vocale che per lungo tempo è stato il protagonista maschile di tutti i Bruscelli, realizzando anche le scenografie di molti allestimenti” (cit. Mario Morganti). La famiglia Romani, dopo il Mence, è rimasta legata in modo costante al Bruscello con suo nipote Franco, il “pipas”, oggi regista, scenografo e dirigente della Compagnia. Franco é stato presidente dell’Istituto Comunale di Musica e del Cantiere Internazionale d’Arte di Montepulciano, fondatore e direttore artistico dell’Arteatro Gruppo è l’ideatore del premio poliziano alla cultura “Sganarello d’oro” ed è autore di diversi spettacoli per bambini oltre che del Bruscello del 1998, “Del Pecora”. Anche nell'ennesima rappresentazione popolare sotto forma di Bruscello alla fine dello spettacolo il cantastorie congederà il pubblico, come fa da sempre, con la celebre strofa: “Buonanotte, voi giù che ascoltate, per quest’anno il Bruscello è finito. Grazie a tutti, signori, e scusate, se un po' tardi vi mando a dormir. Ecco termina il dramma ed il canto, che avrà fatto gioir più d'un cuore; forse è troppa la gioia, poco il pianto ma è la vita ch'è fatta così!”. Così dicendo, farà calare il sipario sull’ultimo spettacolo andato in scena, dando spazio ai Bruscelli futuri, nel segno della continuità e della storia della tradizione popolare legata alla nostra terra e alla nostra civiltà.
Giuliano Lenni

Ciao Maestra!

 In ricordo di Ines Tonini
Durante i freddi pomeriggi invernali o nelle calde giornate estive, era piacevole dialogare dei più svariati argomenti con una signora per bene che sapeva ascoltare e parlare da dotta maestra dei tempi passati che, nonostante la sua grande esperienza di vita, riusciva ancora a stupirsi di fatti e accadimenti che per il mondo moderno, come usava dire lei, erano situazioni normali e consuete. Aveva ricevuto un’educazione e un insegnamento scolastico intransigenti, che l’avevano temprata in maniera solida, aiutandola a sopportare anche un lavoro che l’aveva costretta a svolgere il suo ruolo di giovane maestra di prima nomina in scuole lontane dalla sua Montepulciano, in luoghi raggiungibili solo in bicicletta o a piedi, senza il beneficio dei molti mezzi di trasporto odierni, ma armata solo di buona volontà. Nonostante questo preservava un buon ricordo per quei tempi ormai lontani che serbava in memoria e descriveva con un pizzico di nostalgia. E provava una grande nostalgia anche quando accennava a Nello, suo compagno di vita per quasi cinquant’anni, e si emozionava al ricordo del doloroso distacco da quel marito amato profondamente e del quale si era presa cura fino alla fine dei suoi giorni. Cristiana convinta e tenace assertrice di silenziosa beneficenza e di reale soccorso nei confronti dei più bisognosi, Ines Tonini trascorreva le sue giornate tra i suoi molti ricordi e le poesie che di tanto in tanto si dilettava a comporre, e famosi erano i suoi biglietti augurali, sempre in rima e ricolmi di un forte contenuto morale. Noi familiari la vogliamo ricordare come se fosse ancora tra noi e, visto che non amava molto i necrologi, siamo certi che leggendo queste parole ci avrebbe guardato con il suo sorriso intelligente e affettuoso di chi sa che siamo soltanto di passaggio e che, come sosteneva lei stessa, bisogna vivere il nostro tempo nel modo più dignitoso possibile e pieno di amore per il prossimo.
Giuliano Lenni

Ivan Graziani


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Globalizzazione e dintorni



Malumori e speranze intorno al villaggio globale
 
Gli scontri ideologici, verbali e fisici che stanno attraendo la nostra attenzione sul villaggio globale, non fanno altro che intristire ancora di più questo grigio cielo autunnale inducendo a tristi pensieri gli spettatori di una televisione che non ha quasi più nulla da raccontare ma che alimenta, a volte spregiudicatamente, l’insofferenza tra le contrapposte fazioni. D’altronde la cosiddetta globalizzazione sta entrando prepotentemente nel nostro vivere quotidiano e chi non è d’accordo è fuori tempo, non è aggiornato. Per stare al passo con i tempi bisogna adeguarsi al sistema parlando per luoghi comuni, con frasi fatte e termini stranieri che fino a pochi anni fa non erano neppure nel nostro vocabolario ma che, al contrario, distinguevano la nostra dalle altre culture. Per non parlare dei “pacchetti” offerti dalle agenzie di viaggio: tutti nei “villaggi turistici organizzati” sia che si vada in Egitto che in America Latina, infischiandosene della storia e della cultura locale ma piuttosto ricercando cucina internazionale e bagni di sole per sfoggiare una bella abbronzatura al ritorno. I prodotti dei supermercati, provenienti da tutto il mondo, non rispecchiano la tradizione locale e fanno sì che tutto si possa trovare ovunque a discapito del turismo enogastronomico che dai prodotti tipici trae la sua forza. Fino a qualche anno fa per mangiare i pici dovevamo venire in Toscana, adesso li troviamo anche in California! I Centri commerciali traboccano di “Walt Disney” e “hot dogs”, multisale cinematografiche nello stile “peggiore America” e abbigliamento, idoli e miti importati da ogni dove. L’unica soddisfazione che possiamo estrapolare dalla globalizzazione è quella di un interessamento dei potenti della terra verso i paesi poveri. Infatti, a quanto pare, ci sarebbe la volontà reale di arginare la diffusa povertà di certe aree mondiali attraverso un impegno maggiore di tutti i paesi ricchi sia per l’abbattimento del debito che per investimenti economici, che possano soddisfare la necessità di lavoro e di benessere richiesta dalle popolazioni meno abbienti. Speriamo che almeno questo avvenga affinché il disagio di chi è contrario al sistema globale non rimanga dentro, in attesa di sfociare in proteste e violenza, ma sia confortato dalla consapevolezza che per il bene di altri questo malumore possa essere superato più facilmente.
Giuliano Lenni

Antiquariato in piazza


I mercatini dell'antiquariato e del modernariato vengono organizzati ormai un po' ovunque. Le varie piazze si popolano così di numerosi rigattieri che, nei loro banchi quasi improvvisati, espongono vecchie chincaglierie e mobili d’epoca che in parte hanno riempito il nostro passato. Scopriamo così molte cose che abbiamo visto nelle madie o nelle vetrine dei nostri nonni, a volte strani marchingegni che solo dopo un’attenta spiegazione riusciamo a capirne il funzionamento. Alle persone piace rovistare in questo confusionario mercatino e scoprire oggetti che non ricordavano più e che, oramai inutili, sono depositati un po’ alla rinfusa per emozionare qualcuno o far afferrare ai bambini di oggi quanto fosse meno agiata la vita di quelli che un tempo li usavano. Si sentono nipotini che chiedono ai nonni a cosa serviva questo o quello, non comprendendo appieno per quale malsano motivo all’epoca usassero un pallottoliere al posto del più efficace e abusato computer di oggi! Tra i banchi spunta un monile, una fotografia scattata chissà dove, un ritratto di qualcuno felice di stare in posa, antico ciarpame che qualcuno un tempo ha amato e che adesso finirà a chissà chi per pochi centesimi, giusto per il gusto di sfoggiare “qualcosa di antico” in case oramai ricolme di una impersonale arte moderna. I consunti mobili, alla pari di libri e quadri, sono capaci di scatenare in noi le più forti emozioni. Ma anche dischi musicali, francobolli, cartoline e qualsiasi altra cosa che riguarda le sensazioni personali e che adesso, a distanza di molti anni, anche noi possiamo percepire. Personalmente ritengo che i poliziani dovrebbero sfruttare maggiormente questa occasione che gli è stata offerta, portando in giro per le bancarelle figli e nipoti, improvvisandosi ciceroni del lontano modo di vivere dei nostri avi, in modo che un po’ di comprensione del passato possa fermare per un attimo questa vita frenetica e mai, a dir nostro, completamente appagante.

Il bambino di ieri

L'autore da piccolo
 
Di tanto in tanto ci incontriamo tra amici, vuoi per una semplice cenetta o per l’occasione di una cerimonia festosa e, con naturalezza disarmante e inevitabile, ci ritroviamo spesso a ricordare la nostra età spensierata, della scuola, dei pochi ritrovi tipici di un piccolo paese, degli amici mai più rivisti e delle situazioni divertenti e piene di allegria. In uno di questi ultime conviviali a qualcuno è venuta in mente l’idea di fare un semplice raffronto tra la vita di noi bambini di ieri e quelli di oggi e tra ilarità e lievi polemiche sono emerse situazioni grottesche riguardo alle eccessive attenzioni che i bambini contemporanei ricevono dalla società e dai genitori. Facciamo qualche esempio: noi andavamo in macchina seduti davanti, senza seggioloni, cinture di sicurezza o airbag e viaggiare nella parte posteriore di un camioncino o di un’ ape era un’esperienza tale che chi lo ha provato ancora ne serba il ricordo. I ragazzini di oggi li vedi passare in macchina legati come piccoli salami, incapaci di muoversi anche per salutare un amichetto che intravedono lungo la strada; non ci stupiremmo di vederli con il casco anche in auto! Le nostre culle erano dipinte con colori vivacissimi, con pitture sicuramente a base del velenoso piombo e nessuno si è mai ammalato per questo. Le culle di oggi sono talmente a norma che per noi sarebbero risultate addirittura commestibili! Non avevamo chiusure di sicurezza nelle confezioni dei medicinali, nei bagni o nelle porte delle auto ma solo i suggerimenti dei più grandi e se non davi retta uno scapaccione ti rinsaviva lesto. Le sicurezze di oggi, da quanto sono sicure, non ti permettono a volte neppure di usare ciò di cui hai bisogno, provocando addirittura sonore arrabbiature ai malcapitati. Quando si aveva sete si beveva l’acqua dal tubo del giardino di casa o alle fontanelle del paese, invece che dalla odierna bottiglia dell’acqua minerale. Passavamo giornate intere a costruirci carretti a sterzo per poi lanciarsi giù a rotta di collo e senza freni. Dopo vari scontri contro cespugli e grotte, imparammo a risolvere il problema e aggiungemmo due legnetti a leva per fermarsi…quasi sempre in tempo! Oggi questi mezzi artigianali non esistono più, sostituiti da macchine elettriche che sembrano automobili vere, forse con airbag? Uscivamo a giocare con l’unico obbligo di rientrare prima di cena e, non avendo telefonini, nessuno poteva rintracciarci e non potevamo neppure comunicare con i cervellotici messaggini “sms” fatti di monosillabi incomprensibili dei tempi moderni; in compenso avevamo un sacco di amici con cui parlare e la fiducia dei nostri genitori. Alcuni studenti erano svogliati e quando bocciavano nessuno andava dallo psicologo per curare problemi di attenzione o iperattività; si prendeva semplicemente una sonora libecciata dai genitori e si ripeteva l’anno. Gli alunni di oggi non vanno neppure a scuola a piedi, anzi, i genitori creano ingorghi e risse per accaparrarsi il miglior posto per far fare meno passi possibili al piccolo genio che quasi non si muove dai chili in sovrappeso. Si facevano partite a pallone allo sterro, al campino del Magnanet o in piazza del mercato, formando delle squadre per giocare; chi non veniva scelto e rimaneva fuori giocava la volta dopo senza subire alcuna delusione o trauma. I piccoli calciatori di oggi hanno borse con un numero enorme di scomparti, abbigliamento milionario e i genitori li credono tutti dei futuri fuoriclasse che tra non molto si fidanzeranno con una velina. E guai a chi li offende per un rigore sbagliato !Noi mangiavamo grandi quantità di dolci e tutto quello che ci capitava a tiro, comprese ciliegie e susine raccolte di straforo negli alberi che incontravamo nelle gite in campagna ma non avevamo mai problemi di soprappeso perché si bruciavano tante energie a zonzo. Oggi i bambini cominciano le diete già in tenera età, causa mancanza di movimento e un cibo non sano. Insomma, noi avevamo libertà, fallimenti, successi e responsabilità...ed imparavamo a conviverci, esperienze che poi ci sono servite da grandi, per diventare adulti capaci di gestire la nostra vita. I ragazzini di oggi hanno poca libertà, nessun fallimento e grandi successi che forse da adulti molti non sapranno ben gestire, ma che intuiranno come sconfitte che presto si trasformeranno in depressione e infelicità. Dalla lunga chiacchierata è emersa questa domanda: ma se eri un bambino degli anni ‘60/’70, come hai fatto a sopravvivere senza le attuali agiatezze? Anche se i bambini di oggi diranno che la nostra è stata un’infanzia noiosa, senza la realistica “play station” e i “video telefonini”, la nostra risposta unanime è stata che comunque noi, nonostante tutto, siamo stati e siamo ancora molto felici!

L'artigianato dei giovani

 Una riflessione su un'antica arte

Non esiste periodo migliore dell’autunno, per vagare nelle nostre belle zone alla ricerca di qualche sagra, mostra o mercatino che ci permetta di scoprire luoghi ameni e affascinanti e ci consenta di riscoprire prodotti tipici che non ricordiamo quasi più, ma che volentieri ci tornano in mente in queste occasioni. Così andiamo per sagre della castagna o del fungo porcino in montagna, alla festa del tartufo bianco delle crete senesi o alla ricerca di altre leccornie culinarie che la nostra terra ci regala e le nostra massaie ci riserbano.A me piace sbirciare qua e la in occasione di queste feste paesane, perché mi riaffiorano ricordi di quando ero bambino e anche perché, per fortuna, riesco ancora a trovare qualche spunto per raccontare qualcosa. Nell’ultima escursione domenicale sono rimasto colpito positivamente da alcuni “baldi giovani” ultrasettantenni. Durante questi piacevoli eventi avevo notato alcuni artigiani che esponevano i propri prodotti ma, andando sempre troppo in fretta, non mi era mai capitato di fermarmi a curiosare. Invece questa volta ho avuto come la sensazione che l’incontro con questi anziani signori, che si dilettano nella costruzione di articoli in legno, in ferro battuto, o altri oggetti artigianali, poteva tornarmi utile. Così, parlando con alcuni di loro, ho scoperto che ostentano orgogliosi la propria veneranda età, chiedendomi conferma che gli anni che hanno sopra alle loro spalle non la dimostrano affatto. E infatti non li dimostrano. Anzi, avere la fortuna di coltivare un passatempo nel periodo del riposo dal lavoro, permette loro di rimanere davvero giovani, nel fisico e soprattutto nello spirito. In particolare sono stato attratto da un signore che accuratamente assembla piccoli oggetti in legno, con una pazienza certosina. Mi sono messo a parlare con lui e ho perfino scoperto una sua origine poliziana. La particolarità che mi ha incuriosito è che lui, a 78 anni, ha ancora voglia di imparare e di perfezionarsi ulteriormente nella sua professione che esercita ormai quasi esclusivamente per passione. Poi sbotta “Eh vorrei ancora fare tante cose, ma alla mia età… l’artigianato dovrebbe essere dei giovani che hanno tanto tempo davanti a loro per imparare e perfezionarsi, ma ormai non ce ne sono più perché portare avanti questo mestiere è troppo impegnativo!”. Riflettendo più tardi su quello che avevo sentito da quel simpatico omino, mi sono chiesto se davvero l’artigianato fosse dei giovani e se questa forma di produzione artistica stia davvero scomparendo dalla circolazione a vantaggio delle robotizzate e fredde industrie. Dopo alcuni giorni mi sono ritrovato a leggere di un convegno organizzato e coordinato a Montepulciano da Alessandro Pacini, un abile orafo studioso di antiche tecniche artigianali, che con tale incontro ha indotto gli intervenuti a fare una riflessione sulla figura dell’artigiano e della sua “bottega”, intesa non esclusivamente come luogo di produzione ma anche “pensatoio” in un intreccio di storia, filosofia e umanità. Un tema davvero interessante che forse ci regala un barlume di speranza per quanto riguarda la ripresa di questo antico mestiere, che rappresenta una preziosa tradizione del nostro territorio.Mi è tornata subito in mente la frase dei quel signore che, tra le pieghe del suo discorso, vedeva nei giovani l’unica speranza di una continuazione dell’amata tecnica artigiana e, idealmente, ho dedicato a lui questo convegno, con la speranza di rincontrarlo presto per dirgli che ci sono ancora dei giovani che sentono proprio l’”essere artigiano” e che hanno voglia di confrontarsi e di imparare metodi antichi e moderni per specializzarsi sempre di più nella realizzazione di oggetti artistici e unici. La speranza è che questa professione torni ad essere il fulcro attorno al quale ruota gran parte della nostra cultura artistica, storica e culturale e che l’evento dedicato a questa arte non rimanga un caso isolato ma che, con l’aiuto di tutti, si ripeta frequentemente al fine di sviluppare ulteriori temi per far comprendere meglio a tutti il valore che si trascina dietro la cultura artigiana per invogliare e formare i giovani a questo mestiere così antico e così nuovo allo stesso tempo.

Lo storico giardino di Poggiofanti a Montepulciano

Ricordi poliziani nel giardino di Poggiofanti 
Erano tanti anni che non ripassavo da Poggiofanti. Anche io, che abito a Montepulciano e non ho problemi di distanza, faccio fatica a frequentare quel “giardino” che tanto amavo da ragazzo. Il lavoro, la famiglia e le varie situazioni della vita, legate anche al fattore età che ti trascina lontano dalla spensieratezza, spesso ti conducono lontano da quei luoghi che per molti anni sono stati quei posti ameni dove ogni volta ritrovavi gli amici e vari momenti di svago. Non è cambiato molto, il giardino, da venti anni a questa parte. Sopra alla pista c’è montato un moderno tendone per non bagnarsi dalla pioggia e per ripararsi dal vento, ma a parte questo piccolo dettaglio (averlo avuto noi un ricovero del genere!) ho riconosciuto lo stesso barrino, la fontana e gli accessori vari propri di un posto destinato ai più giovani. I biliardini e i flippers, anche se oggi più moderni, sono simili a quelli di allora. In più, oggi, su un lato della pista troneggia un biliardo che noi per trovarlo dovevamo arrivare fino al bar del Bui, e quanto si aspettava perché arrivasse il nostro turno per giocare! Bighellonando lungo le calde giornate estive tra un gelato ed un cremino comprati al barrino della Marina, quando il giardino era il centro delle attività di noi giovani poliziani, di tanto in tanto comparivano personaggi che oggi non sono più e che forse per ragioni economiche o per loro precisa volontà vivevano in modo stravagante e abitavano in case concesse dal comune o in proprie abitazioni fatiscenti e posticce.Questi personaggi li incontravamo seduti sulle panchine del “nostro” giardino o in giro per i vicoli del centro storico e, data la nostra giovane età e per il loro strano modo di vestirsi e di porsi verso le altre persone, incutevano in noi un timore sinistro che ci faceva scappare e parlottare in un tipico atteggiamento fanciullesco.Ricordo la “Giraffa”, una signora romana sposata ad un ufficiale della marina che in seguito ad un bombardamento avvenuto al Salarco, durante la seconda guerra mondiale, era rimasta traumatizzata per il resto della sua vita e vagava per la nostra città con piglio austero e quando le girava male ci tirava qualche sasso per farci correre mentre ridevamo intimoriti: in merito a questo, ripensandoci oggi da adulto, secondo me si divertiva più lei di noi, anche perché era una persona che amava apostrofare chiunque le capitasse a tiro in modo simpatico e sfrontato.Oppure il “Moro”, grande e grosso che per la sua mole incuteva timore a grandi e piccini e che con il suo vocione ci urlava di una strana malattia che aveva contratto durante la sua permanenza in Brasile, dove lavorava in qualità di falegname, per la quale aspettava da un momento all’altro un cospicuo risarcimento, peraltro mai arrivato, dal governo del paese sudamericano.La “Spinosa”, che proveniva da Siena, aveva il cosiddetto botteghino del lotto e per motivi sconosciuti si ridusse a vagare per Montepulciano senza meta, di solito in compagnia della sopra citata Giraffa. Si vestiva in modo strambo, la Spinosa, e di tanto in tanto si fermava a raccogliere mozziconi di sigarette (cicche) o altre cose che sembravano esserle utili in quel momento, ma che poi gettava via placidamente.Parlando con un amico mi è tornato in mente Bombolino, che aveva una particolare predilezione per il buon vino rosso e non gli importava che fosse nobile! A volte sopraffatto dall’enorme quantità di quel buon nettare ingerito si fermava di fronte al teatro a “sbollire” la sbronza, appoggiato ad uno stipite a volte per ore. Nessuno ha mai saputo se riuscisse davvero a dormire in piedi.La mia memoria si ferma volutamente a questi pochi personaggi, probabilmente i più famosi, di certo non gli unici che hanno popolato la vita poliziana. Infatti ce ne sono stati tante di figure che hanno caratterizzato il nostro tempo e ciascuno, in cuor suo, ogni tanto dovrebbe voltarsi indietro e rivolgergli un pensiero perché anche loro, con il loro modo di vivere particolare, hanno contribuito ad animare la vita di ognuno.

Giuliano Lenni

Sul commercio

 
 La legge del commercio
Provate a fare un giro per il centro storico di Montepulciano, scoprirete una varietà consistente di negozianti che si occupano della loro attività quotidianamente, confrontandosi con il turista di passaggio o con il residente, tra mille difficoltà e probabilmente con qualche soddisfazione. Negli ultimi anni li abbiamo visti crescere in gran numero, i commercianti. Qualcuno per la voglia di crearsi un’attività in proprio e molti per cercare di approfittare del momento economico favorevole. Da qualche anno, infatti, Montepulciano ha conosciuto un periodo di grande espansione commerciale, dovuta principalmente al turismo che contribuisce in maniera considerevole allo sviluppo delle attività collegate al passaggio frequente di turisti. Sono nate parecchie attività che non si erano mai viste prima, con un incremento del giro d’ affari e di occupazione sorprendente e positivo. Tuttavia chi è di buona memoria si ricorda anche della Montepulciano desolatamente spoglia di esercizi commerciali, con qualche bar sparso qua e là e alcuni negozietti scalcinati dove pochi si fermavano e quasi nessuno comprava qualcosa. Malgrado ciò anche in quel periodo così buio c’erano persone che credevano nel commercio, quello vero, fatto di sorrisi e inchini verso i pochi possibili clienti, ma anche di grande sacrificio e di mutui da pagare con enormi malesseri del titolare e della sua intera famiglia. Alcuni bottegai sono andati sparendo, per l’impossibilità di portare avanti l’attività per vari motivi, altri si sono rafforzati anno per anno, conoscendo sviluppo e consistenti aumenti di fatturato. Quest’ultimo punto è naturale che possa creare invidia o biasimo da parte di certe persone, ma d’altronde è la dura legge del commercio, dove sopravvive e raggiunge il benessere solo chi ha coraggio, tenacia ed una naturale predisposizione nel prevedere gli scenari economici futuri. A questi veri e propri pionieri del commercio poliziano dobbiamo portare profondo rispetto e da loro dobbiamo imparare che solo con l’impegno e la voglia di mettersi in gioco, a volte con grave danno per se stessi, si possono raggiungere obiettivi che non sono auspicabili a persone che giudicano sovente gli altri non pensando a giudicare se stessi. D’altronde regalare un bel sorriso per la gioia degli acquirenti o per attirarne potenziali all’interno della propria attività non è molto difficile. Un semplice sorriso, anche se a volte vela un dispiacere, un malessere o al contrario esprime un carattere gioviale e sincero. Quello che è più complicato è restare a galla per tanto tempo, con la costanza di chi sa che sta facendo il suo dovere per regalare benessere alla propria famiglia e con la certezza che oltre ai clienti, guardandosi indietro, può sorridere un po’, perché no, anche a se stesso.

Fumo e sapori

Quando il fumo crea disagio
 
A chi non è mai capitato di imbattersi in persone maleducate? Automobilisti nervosi che non hanno pazienza o che parcheggiano in posti impossibili, buffi soggetti che ti rispondono scocciati per qualsiasi sciocchezza, baldi giovani che non cedono il proprio posto ad un anziano passeggero sulla corriera e via discorrendo. Ci potremmo divertire ad elencare le più strane vicende che accomunano vari tipi di insofferenti, nella cui mentalità maleducazione e mancanza del quieto vivere regnano sovrane. Eppure c’è un tipo di maleducazione che va al di la di ogni limite e che non possiamo spiegare bene a parole, ma la possiamo capire solo imbattendoci in una spiacevole situazione. E’ il caso del fastidioso fumo delle sigarette e peggio ancora dei maleodoranti sigari, al ristorante.Non basta che nei pacchetti di sigarette ci siano scritte frasi terrorizzanti concernenti i danni che il tabacco provoca; non li convince neppure il fatto che il fumo sconvolga i sapori delle pietanze: loro devono fumare. Arrivi in un bel ristorante, ti siedi, cominci a scorrere il menu, ordini e mentre ti appresti a gustare un bel piatto di pici alla nana che emanano un piacevole odore da almeno dieci metri… ecco il solito “fumatore” che accende la sua brava sigaretta, affinché l’aria pulita e gli aromi piacevoli vengano improvvisamente annullati da una puzza sconcertante che ti fa dimenticare di essere un umano e ti sprigiona la tentazione di assalire l’ignaro tabagista. A nulla servono le occhiate fulminanti dei commensali al suo indirizzo e certe volte non lo convince neppure l’intervento dell’educato cameriere; tuttavia, se finalmente spenge il maledetto strumento di tortura, non ti perdonerà mai di avergli bloccato quel suo farsi e fare del male e ti guarderà in cagnesco per il resto della serata. Ma almeno la cena è salva e si può mangiare e bere in santa pace!Il problema è tanto diffuso che le stesse autorità competenti hanno deciso di dar vita ad una norma che vieti il fumo nei locali pubblici. Forse, con più educazione e rispetto per gli altri, non ci sarebbe stato bisogno di ricorrere alla legge per far capire a tutti che fumare è contro la propria e l’altrui salute.

Il vecchio e il nuovo commerciante di Montepulciano

L’occasione perduta

Vi ricordate com’era Montepulciano fino a pochi anni fa? Un bellissimo paese con qualche negozietto sparso qua e là, con poca gente che vi entrava e una voglia di aprire “in un altro posto” per fare qualche affare in più. Chi gestiva i bar lo faceva in modo schietto e scherzoso con gli abitanti del luogo e quando entrava un “forestiero” ci si ammutoliva e si guardava dall’alto in basso con circospezione,atteggiamento tipico del Poliziano; l’imbarazzo per il malcapitato era enorme! La vita scorreva tranquillamente, con bottegai e barbieri che conoscevano a menadito tutti gli abitanti del luogo compresi i pettegolezzi di varia natura legati a qualcuno in particolare, con storie spesso vere a metà e talvolta addirittura inventate ad arte, ma mai reali fino in fondo. Era comunque un modo scherzoso per trascorrere le lunghe giornate, senza comunque mai esagerare o offendere nessuno. Niente a che vedere con la Montepulciano odierna che si culla sul turismo e su quei “forestieri” tanto canzonati in passato, con quelle scarpe così o quella maglietta cosà, ma oggi tanto agognati e invitati ad assaggiare il vino o qualche altro prodotto tipico Poliziano riscoperto per caso o per necessità ed un tempo ad appannaggio dei soli residenti. Oggi Montepulciano è cambiata, chi dice in meglio chi dice in peggio; è indubbiamente diversa. I barbieri e i bottegai veri non esistono quasi più, addirittura si sta spegnendo la voglia di prendersi in giro con goliardia, vedi l’agonia dello storico Testamento del Carnevale, e più che un bellissimo paese sembra ormai un centro commerciale di lusso, con molteplici attività commerciali che accontentano sia il cliente parsimonioso che il cliente spendaccione.Queste parole non devono essere fraintese; non vogliono significare nostalgia per “come eravamo”, perché in generale è positivo e produttivo che esista questo tipo di commercio a Montepulciano che crea posti di lavoro e crescita economica, rendendo più animato e vivibile il centro storico. La mia riflessione riguarda solamente il fatto che molti esercizi commerciali sono stati aperti per sfruttare la situazione economica vantaggiosa che oggi Montepulciano offre e quando ripenso ai vecchi commercianti Poliziani che spesso facevano fatica ad arrivare alla fine del mese per mancanza di clienti e denaro ma che hanno creato e gestito le loro piccole aziende non per far soldi ma per amore vero e proprio verso la propria Città, mi viene spontaneo pensare che hanno realmente perduto l’occasione di sfruttare appieno la possibilità che Montepulciano, invece di darla a loro, ha voluto concedere ad altri che non conoscono e non possono dunque apprezzare ciò che lega i Poliziani alla loro Città.